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Le presunte “feritoie” dei nuraghi

 Il prof. Raimondo Zucca ha preparato per la recente opera in collaborazione La Sardegna – I tesori dell'archeologia, pubblicata da Carlo Delfino per conto della “Nuova Sardegna” (Sassari 2011), un articolo intitolato “L'itinerario”, nel quale egli ha continuato a citare le supposte “feritoie” che si troverebbero numerose anche nel Nuraxi di Barùmini. Invece in realtà quelle “aperture” non sono affatto “feritoie”, per tutta una lunga serie di considerazioni.

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Rileggendo Michelangelo Pira…

 Il giornalista, scrittore, antropologo e docente universitario Michelangelo Pira studiò a fondo i problemi originati dal passaggio, reso necessario dalla modernità, dalla civiltà e dalla cultura sarda agro-pastorale a quella globale dei consumi. Dell’intellettuale prematuramente scomparso nel giugno del 1980 (era nato a Bitti, piccolo centro della provincia di Nuoro, nel 1928) rimangono scritti tra i più impegnati e ispirati dell’intera letteratura sulla civiltà e sulla lingua dei sardi e passi di straordinaria attualità con i quali egli, con inestinguibile passione, difende il diritto degli stessi sardi ad avere e coltivare una propria identità etnica e culturale che sia libera dai mille motivi di remora imposti dalla cultura statale egemone. Il bisogno di ribadire energicamente tale identità presuppone per Pira che la lingua sarda non sia più vista come subalterna a quella nazionale; essa deve piuttosto far parte integrante dei necessari processi di modernizzazione che coinvolgono anche la Sardegna. All’interno di questi processi di modernizzazione la lingua e la cultura, l’intera identità dei sardi devono dinamicamente interagire con l’esterno; ad esse va data la possibilità di fornire il proprio specifico contributo alla cultura nazionale. Gaspare Barbiellini Amidei, che scrisse l’introduzione di “La rivolta dell’oggetto” – Antropologia della Sardegna, opera fondamentale nella bibliografia dello studioso bittese, spiega così il messaggio seminale trasmesso dal libro: occorre riconoscere la dignità e le coordinate logiche di un modo peculiare, quello sardo, di partecipare a una lingua, a una cultura, a una economia, a uno sviluppo, a una crescita sociale che è poi di tutto il paese.

In Sos Sinnos, romanzo pressoché autobiografico scritto in limba, Pira scelse di scrivere “come parlava”: per lui, aveva detto tante volte, <la lingua scritta è la fotografia della lingua parlata> (Così Manlio Brigaglia, nell’introduzione a una delle ultime edizioni del libro).

Leggiamo un breve brano di questo straordinario romanzo.

"Custa tzente de zittate chi no s'imbreaca' mai, chi misura' donzi paraula e donzi passu e chi no ride' mai a iscraccagliu e chi cando ride' movet ebbia sa' lavras tot' a misura e chi no ischi' mancu pranghere cando b'a' de pranghere chere timita............................ Custa tzente de zittate totu chi' s'arva atta donzi die e tottu lavata e bene estita che mortu in baule jeo la ido ch'er tzente morta....... jeo cando ido so' lumenes e sas caras issoro i sa radio e mi los abbaito in televisione o lor vido ass'atter'ala de isportellos de vridu e ido chi son pupas [pupas=ombre, secondo la traduzione approntata da Natalino Piras, n.d.r.] , apparenzias vanas, ma issos imbezzes pessana: "Cussu so jeo e chere’narres chi so viu, chi juco una cara e faeddo e appo unu lumene". Est tot'un 'ingannu, una tropea [tropea=pastoia, secondo la recente traduzione di Natalino Piras n.d.r.] chi si sono postos issor matessi. Manizzan dinari e assegnos, documentos e papiros e credene chi tottu custas apparenzias siana sa vida e veritate..........” .

[Ecco la (mia) traduzione del brano: “Questa gente di città che non si ubriaca mai, che misura ogni parola che pronuncia ed ogni passo che fa, che non ride mai di gusto e che quando ride, ride con misura muovendo appena le labbra e che non sa neppure piangere quando è il caso di farlo, bisogna temerla…Questa gente di città con il volto rasato ogni giorno e, come un morto nella sua bara, ben lavata e vestita, la vedo che è gente morta…io quando sento i nomi alla radio e quando guardo le loro facce alla televisione o li vedo dall’altra parte di qualche sportello di vetro e vedo che sono ombre ed apparenze vane, ma essi invece pensano 'Quello sono io, ciò significa che sono vivo, ho un volto e parlo e ho un nome'. E’ tutto un inganno, un modo che essi hanno di imbrogliare se stessi. Maneggiano denaro e assegni, carte e documenti e credono che di tutte queste apparenze siano fatte la Vita e la Verità”] .

La gente di città del frammento di ‘Sos Sinnos’ (il romanzo venne pubblicato postumo nel 1983) viene descritta come priva di identità, come se non disponesse di un cuore che palpita, come se fosse morta.

Anche questo libro dell’intellettuale barbaricino contiene molti spunti di riflessione ed è denso di contenuti universali. Come quando leggendo ci si imbatte in idee che hanno soggetti, motivazioni e punti d’inizio molto differenti ma che poi, per qualche verso (e al di là di possibili interpretazioni ideologiche) possono comunque essere collegate tra loro, rileggendo Sos sinnos a me sono tornati in mente la reazione del filosofo professore universitario tedesco Martin Heidegger (si legga l’intero scritto heideggeriano dei primi anni Trenta: Perché restiamo in provincia?) di fronte alla eventualità di dover lasciare la propria baita tra le montagne, i boschi e le fattorie della Foresta nera meridionale per un trasferimento a Berlino a seguito della seconda chiamata di quella Università:

Recentemente ho ricevuto la seconda chiamata all’Università di Berlino. In una tale circostanza mi ritiro, fuori dalla città, nella baita. Ascolto quello che dicono le montagne, i boschi e le fattorie. Visito per l’occasione il mio vecchio amico, un contadino settantacinquenne. Ha letto sul giornale della chiamata a Berlino. Cosa dirà? Egli dirige lentamente lo sguardo sicuro dei suoi occhi chiari nei miei, tiene la bocca ermeticamente chiusa, posa sulla mia spalla la sua mano fida e prudente  scuote impercettibilmente il capo. Ciò significa: assolutamente no!

e gli automi di Metropolis, lungometraggio del cineasta austriaco Fritz Lang, cult movie tedesco dei primi decenni del secolo scorso, una delle opere più significative dell’espressionismo cinematografico, ispiratore anche oggi di molto cinema fantascientifico. Il messaggio dell’opera di Lang si porta ben al di là della matrice ideologica e politica di fondo presente nel film (la contrapposizione tra operai e capitalisti) e consisterebbe invece, secondo quanto afferma lo stesso regista, nello spiegare che l’intermediario ‘tra le braccia e la mente’ è il cuore. Gli operai di Metropolis diventano parte integrante del processo meccanico-tecnologico-produttivo perché mancano di identità.  

Tornando a Sos Sinnos, sorta di biografia nella quale molti sardi, ancora oggi, potrebbero riconoscersi, ecco, rileggendolo ho nuovamente ricavato da esso motivi validi per poterlo considerare un capolavoro. Esso svela molto di ciò che gli stessi sardi sono e su come essi vivono. Soprattutto in tempi come quelli che tutti noi viviamo, di globalizzazione dilagante, che sembrano portare con se solo distruzione, rovina o erosione di culture millenarie, vale la pena sforzarsi per cogliere il messaggio che può essere letto tra le righe di Sos Sinnos? Ne siamo convinti: soltanto in questo modo l’ipotetico lettore potrà avere maggiore consapevolezza della eccezionale modernità del romanzo; solo così potrà trarre da esso proficui insegnamenti.   

Giovanni Graziano Manca  

 

Vita e arte di Peppino Mereu

 Viene alla luce a Tonara il 14 gennaio 1872, Peppino Mereu, il più grande, forse, dei poeti in lingua sarda. Mereu oggi è probabilmente anche il poeta sardo più rimpianto, quello che più ci manca. La ragione di questo sentimento diffuso sta certamente, da un lato, nell’attrattiva esercitata dalla sua figura carismatica, dall’altro in quella sua aura da poeta maledetto che muore solo e giovane lasciando orfani i propri estimatori, anche (o soprattutto?) quelli delle generazioni a venire fino a oggi che lui non potrà conoscere. Un novello Baudelaire, il vate tonarese: del resto l’angoscia di vivere (lo spleen) e la sua indole fortemente ribelle riaffiorano sempre, nei suoi versi.

La poesia di Mereu, oggi, la si legge e la si apprezza ancora moltissimo sia per i suoi contenuti universali sempre validi, sia per quella intrinseca, straordinaria capacità di Mereu di plasmare e cesellare la parola rendendola pienamente capace di esprimere e interpretare gli aspetti sociali ed economici della Sardegna e della Barbagia del tempo in cui furono scritte. In  A Signor Tanu Mereu scrive:

De coro francu e a tottus cumunu,/mi la fatto cun poveros mischinos/chi opprimidos sunt de su digiunu./Odio cuddos viles istrozzinos/chi dan dinare su chentu pro chentu/e ponent terras santas a camminos./Fizu de su canudu Gennargentu,/bidende sas infamias terrenas,/provo in coro veru sentimentu./Manos ch'hant meritadu sas cadenas/firmant libellos ignominiosos,/ponende sa virtude in graves penas./Rettiles malaittos ischifosos/isparghende funestu su velenu/in custos sitos virdes e umbrosos./E nois cun d’unu animu serenu/nos godimus in paghe s'ispettaculu/chi disonorat custu logu amenu./A su male si ponzat un'ostaculu,/benefica si tendat una manu,/sa Barbagia est zega e cheret baculu.

Peppino Mereu era particolarmente legato a Tonara. Un rapporto viscerale e simbiotico, il suo, con il paese, un amore preminente per i luoghi e le ricchezze naturali di cui esso è dotato. Cara, santa e benedetta dalle muse, viene definita Tonara in una delle poesie più conosciute di Peppino, ma come vedremo egli non si limiterà a cantare in versi le amenità del luogo e l’amore per una terra che l’ha visto nascere e crescere: la poesia di Mereu, se volessimo definirla con termini che aderiscono meglio alla realtà dei nostri giorni, è poesia sociale, di protesta verrebbe da dire, ma anche, tutte le volte che il poeta posa lo sguardo introspettivo sulle proprie vicende, esistenziale. Ecco, per esempio, quello che il poeta scrive in Turmentos:

Donosu rosignolu,/non cantes sutta sa ventana mia/lassami istare solu/unu momentu ca benit s’istria;/custu est logu de dolu,/de iscunfortu e de malinconia,/custu est logu de pena/indigna 'e s'amorosa cantilena.//Passadas sun sas dies/chi mi ponias su coro in regiru,/tue cantas e ries/e tenes pro risposta unu sospiru./Bentos frittos e nies/m'han leadu de vida su respiru./Su canticu suave/suspende unu momentu, s’ora est grave.

Le notizie incontrovertibili riguardanti la vita e la morte di Peppino Mereu sono esigue. Si conoscono con certezza la data di nascita e quella di morte del poeta, la composizione della sua famiglia, il servizio prestato presso l’Arma dei carabinieri reali e quello prestato presso il Municipio di Tonara in qualità di scrivano. Quarto di sette fratelli, perde entrambi i genitori prematuramente: la madre Angiolina Zedda muore a Cagliari nel 1887, il padre Giuseppe, medico del paese, nel 1889, per aver ingerito erroneamente una sostanza letale scambiata per liquore. Alla morte del padre Peppino ha ancora diciassette anni. Essendo in quegli anni il paese di Tonara sfornito di scuole si tende a credere che il poeta abbia acquisito una formazione da autodidatta [1]. Dalla lettura dei versi, però, emergono chiari gli elementi che raccontano anche delle molte letture fatte dal tonarese e delle influenze letterarie e culturali da lui acquisite; non a caso  si presenta straordinariamente ricco di spunti il verseggiare di Mereu: si va dalle riflessioni filosofiche e dagli argomenti di portata universale come la vita quotidiana, l’amore, la morte, la giustizia, a considerazioni di sapore più politico e polemico contenute nelle opere più, per cosi dire, contestatarie. Queste ultime testimoniano di un approccio del poeta particolarmente commosso nei confronti del disagio che angustia gli strati meno abbienti della società (il contadino, il pastore), ma fortemente  critico nei confronti del potere costituito quando questo genera iniquità e verso una giustizia che non è mai giusta come dovrebbe. La poetica del poeta barbaricino è stata da più parti correttamente ricondotta alla concezione critica degli scapigliati ferocemente avversa al sistema borghese, al piatto andamento della normalità delle cose, all’ideale positivistico. Non solo Mereu si farà interprete e portavoce dei vari aspetti di una crisi sociale ed economica che colpirà l’Italia intera e non solo la nostra isola, ma il poeta si avvicina agli ideali propugnati dal movimento socialista. Negli anni in cui Mereu  scrive, in un contesto in cui il fenomeno del banditismo dilaga e le prime lotte di classe si diffondono con gli scioperi e i movimenti politici operai, la Sardegna, socialmente ed economicamente parlando, versa in condizioni pietose. Peppino Mereu dimostra di essere uomo perfettamente calato nell’attualità delle questioni dei tempi in cui ha vissuto e scritto. In Lamentos de unu nobile, per esempio, canta:

1.Funesta rughe/chi giust'a pala/per omnia saecula/ba’in ora mala./2.In diebus illis/m'has fatt' onore,/ma oe ses simbulu/de disonore./3.Oe unu nobile/chi no hat pane,/senz' arte, faghet/vida ‘e cane./4. Senz'impiegu/su cavalieri,/est unu mulu/postu in sumbreri./5.A pancia buida,/senza sienda,/papat, che ainu, paza in proenda./6. Deo faeddo/cun cognizione,/ca isco it' este/s'ispiantaggione./[…]11.Ah caros tempos/c’happo connottu!/sezis mudados/in d'unu bottu!...

E in A Nanni Sulis II:

Unu die sa povera Sardigna/si naiat de Roma su granariu;/como de tale fama no nd'est digna./Su jardinu, su campu, s’olivariu/d'unu tempus antigu, s'est mudadu/ind'unu trist'ispinosu calvariu.

E’ generalmente riconosciuto che la valenza culturale e sociale dell’opera di Mereu si spinge anche oltre gli angusti confini della Sardegna. Peraltro, quelli proposti poc’anzi sono versi che testimoniano del forte senso critico di Mereu, della energica vis polemica che irradia da molte delle sue poesie e della grande attenzione che il vate del Gennargentu riserva ai mali che travagliano la propria terra, mali, spesso, che ancora nessuno è riuscito a debellare.

 

Giovanni Graziano Manca

 



[1] [Nota: Ho attinto molte informazioni biografiche su Mereu dall’interessante sito www://nuke.peppinumereu.it,   curato dal Collettivo Peppino Mereu. Il collettivo citato nel corso degli anni ha svolto una meritoria opera di ricerca che ha portato alla pubblicazione dell’opera omnia del poeta di Tonara.].

 

 

“Procurade ‘e moderare” proposto come inno della Regione

 

L’assessore regionale della Cultura, Sergio Milia, nel corso della cerimonia inaugurale delle celebrazioni de “Sa Die De Sa Sardigna”, ha annunciato la sua intenzione di fare dell’inno contro i feudatari l’inno della Regione Sardegna.

“Ho dato mandato agli uffici – ha detto Milia - perché valutino le procedure da attuare affinché "Procurad'e moderare", scritto nel ‘700 dall’ozierese Francesco Ignazio Mannu,  diventi l’inno della Regione Autonoma della Sardegna”.

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